Indovina chi viene a cena è la neonata rubrica di SoM. Con questo nuovo spazio ci proponiamo di entrare nel profondo di un’opera artistica e, pertanto, chiediamo a scrittori, giornalisti professionisti, registi, fotografi e artisti di raccontarci un disco, un libro, un film o una serie tv. L’intenzione è quella di creare una piccola raccolta di brevi racconti scritti per conoscere realtà o aspetti dei vari campi dell’arte condivisi dai nostri ospiti.
Il quinto ospite è Massimo Del Papa, giornalista e blogger fermano. Fino a qualche anno fa editorialista per la rivista musicale “Il Mucchio”, ove a lungo si è occupato di misteri italiani, mafia, terrorismo e stragi. All’attività di giornalista ha congiunto quella di scrittore, pubblicando libri sia con editori che autoprodotti in formato ebook come “La vita è dolore – Disumanità di Dr.House” e “Ali per volare – Scontri di un supereroe al quadrato“, connotati da una grande forza espressiva e da una disamina cruda ed estremamente sincera. Di musica ed attualità continua tuttora ad occuparsene sul quotidiano online indipendente “Lettera 43″ mentre sul blog personale “Babysnakes” (http://massimodelpapa.blogspot.it/) offre un’analisi più introspettiva e viscerale di vicende personali e non.
Massimo Del Papa ha scelto di raccontarci la serie tv “Our Zoo” di Matt Charman. Ecco le sue parole:
Il primo forse no, ma il padre di tutti i bioparchi è Our Zoo, serie della BBC partita lo scorso autunno in Inghilterra, basata sulla storia vera di George Mottershead, un reduce della prima guerra mondiale che non riesce a guarire dal suo stress post traumatico. Finché, alla fine degli anni Venti, non capita ad uno spettacolo di animali con la figlia più piccola, subisce una crisi devastante, si reca al porto di Chester, ne torna con un pappagallo e una scimma destinati a morte certa, finisce al circo, salva addirittura un cammello, nella sincera preoccupazione dei familiari, moglie, altra figlia adolescente, anziani genitori bottegai. È partita la nuova vita di George, che non ne può più di stress, di ricordi, di rimpatriate fra mutilati (lui stesso è rimasto tre anni inchiodato alla sua schiena, incapace di camminare, di muoversi, pensando ogni momento al fratello che in guerra ebbe sorte peggiore, definitiva). È partita la nuova vita con un debito di tremila sterline in banca per comperare una tenuta dismessa, Oakfield Manor, strappata all’ultimo momento, a suon di rilanci, ad un agente immobiliare di Londra. Qui George e la famiglia, via via sempre meno recalcitrante, s’imbarcheranno nel primo zoo senza gabbie della civiltà, raccogliendo animali strani, esotici, selvaggi e il futuro è tutto da vedere.
Una serie spettacolare, si capisce subito, dalle primissime sequenze. Con una scrittura accurata (opera di Matt Charman), che sa aggiungere equilibrio e poesia alla storia stralunata del reduce disadattato, che parte da lontano, intreccia destini e situazioni, converge sulla vicenda principale. Il protagonista è una faccia che qualche maniaco delle serie avrà già visto, era (ed è) il sergente Bacchus, aiutante di George Gently nell’omonima serie, e se là Lee Ingleby era il poliziotto leale ma cinico e piuttosto fatuo, qui offre una differente prova di bravura colorando l’alienazione di ogni sfumatura affettiva: “Noi abbiamo già visto troppo male, non è vero?”, dice al banchiere cui chiede un prestito: e lo convince, mentre tutti in banca stanno intorno a Mortimer, la scimmietta adottata dalla figlia piccola di George. “Vedessi come tenevano quegli animali”, ripete l’ex soldato che non accetta più una vita da bottegaio, nelle retrovie di quella democrazia che ha contribuito a difendere per conto dei potenti, di quelli che decidono e non ci rimettono mai gli arti. A Oakfield Manor, scopre Albert, padre di George, l’aria è davvero più fresca, più frizzante, e tanto basta: sarà quel che sarà.
Dev’essere andata bene, perché quel Bioparco esiste ancora oggi: controllare il ricchissimo sito, che testimonia di una intrapresa ormai istituzionale. E la serie, già passata nella madrepatria, è in circuito adesso in Italia, con tutte le sue calorose colorazioni, di dialoghi, di fotografia, di trama, di personaggi. Una serie che ti incanta subito, anche se non sei, come lo è chi scrive, un patito degli animali, uno che in quella invocazione, “vedessi come stava ridotta quella bestia, non potevo lasciarla là”, si riconosce, nel suo piccolo, sempre di più. Chi salva un animale non salverà il mondo, forse, ma salva se stesso. Our Zoo comunque è per tutti, è avventura e poesia, e un’ora spesa bene ogni volta. Sei gli episodi già realizzati per la prima serie, ma c’è da sperare, e da scommettere, che la serie, tratta dalle memorie della piccola June Mottershead, oggi ultranovantenne vispissima (perché gli animali sono vita che difende la vita), andrà molto oltre.