Quale è il senso che hanno i festival culturali, se ancora ne hanno uno? Oltre chiaramente alla valutazione della manifestazione, credo che questa sia la domanda che in ogni caso deve guidare la partecipazione ad un simile evento. Credo infatti che possa risultare facile, e nello stesso tempo fine a se stesso, organizzare una serie di eventi di carattere culturale con alla base un supporto economico ragguardevole; facile ma fine a se stesso appunto. La scommessa vera è quella di portare, impiantandosi all’interno di una città, una manifestazione che coinvolga la cittadinanza, con relazioni lontane dall’approfondimento accademico (per cui chiaramente esistono altri spazi) ma comunque precise e dettagliate, che girino intorno ad un tema interessante per i cittadini chiamati ovviamente a partecipare.
Dialoghi sull’uomo, festival di antropologia contemporanea, unico in Italia come sottolineato all’apertura della manifestazione dall’ideatrice Giulia Cogoli, riesce a coniugare in buona parte tutto questo. Giunti alla sesta edizione (22-23-24 maggio), i Dialoghi (li chiameremo così come li chiamano i cittadini, in un’abbreviazione che è comunque segno di affezione) tornano nell’evocativo e antico centro storico (non sono io, che ci vivo, a definirlo così, ma quasi tutti i relatori che hanno speso parole sulla città che li ha ospitati) di Pistoia, nelle sue piazze e teatri principali, con un tema che sembra riduttivo definire attuale, anche alla luce degli avvenimenti sulle nostre coste meridionali: la casa. Il titolo più preciso di questa edizione è stato: Le case dell’uomo. Abitare il mondo, che, nelle parole di Giulia Cogoli, così è stato riassunto: “Quest’anno il festival riguarda la casa e l’abitare, concetti che hanno segnato l’evoluzione dell’umanità e il suo progressivo organizzarsi come società che realizza il comune destino del vivere insieme. La casa non per isolarsi dal mondo, per ricercare ne provato illusorie sicurezze; essa non esclude, anzi comprende, l’uscire e il rientrare, l’andare e il tornare, in un continuo dinamismo che è una delle esperienze essenziali della vita di ciascuno”.
Un tema che raccoglie in sé una ovvia, e molto forte, carica teorica derivante dagli studi che l’antropologia gli ha dedicato fin dalle sue più antiche ricerche, con molte diverse sfaccettature, con la consapevolezza in ogni caso di andare ad illuminare una parte imprescindibile della vita dell’uomo. Basti pensare agli studi sul vivere nel continente africano o in quello sudamericano, gli studi di De Martino sull’abitare nel sud-Italia, per arrivare fino a noi, fino a dove l’antropologia si fonde con la sociologia e la statistica, nello studio delle emergenze abitative attuali. Proprio quest’ultimo si presentava come un problema difficile da arginare rispetto agli interventi della manifestazione, che ha avuto purtroppo però ben poco spazio all’interno delle relazioni, dovuto sicuramente più alla ricchezza del tema, che ammetteva moltissimi campi di indagine come ha mostrato il programma, che ad una scelta volontaria di esclusione.
Ad intervenire sono stati esperti di molti settori, non riducendo intelligentemente il campo alle sole scienze architettoniche (che hanno comunque visto partecipazioni importanti come quelle di Talamona e Cibic) e antropologiche, ma scegliendo relatori i cui ambiti spaziassero dall’antropologia più accademica (con il maestro Francesco Remotti), alla psicoanalisi (come Giuseppe Civitarese), alla filosofia del linguaggio (come Felice Cimatti), a missionari comboniani (Rentato Kizito Sesana), fino ad arrivare a cantautori (Vinicio Capossela) e addirittura ex-calciatori ora impegnati nel settore della lotta al razzismo (l’ex-juventino Lilian Thuram), a proiezioni cinematografiche (i bellissimi “La fonte meravigliosa”di King Vidor e “L’inquilino del terzo piano” di Polanski), alla lettura di Beppe Servillo de “Il barone rampante di Calvino, all concerto dei due pianisti Bruno Canino e Enrico Pieranunzi e alla mostra fotografica curata da Ferdinando Scianna dell’agenzia Magnum.
Già questa piccola carrellata di nomi, gli eventi infatti, spalmati su tre giorni, erano 23, mostra il sincretismo della manifestazione, il tentativo di creare un’occasione in cui chiunque possa accrescere la propria conoscenza e, perché no, soddisfare la propria curiosità. Si spiega (anche) così la presenza massiccia del pubblico che, solo in quest’ultimo anno ha contato quasi 20000 presenze con un pubblico proveniente da tutta Italia.
Andando a vedere un po’ più in profondità gli eventi che hanno costellato questa manifestazioni, è giusto partire, sia perché è stato l’evento che ha inaugurato la kermesse, sia per la grande importanza dell’allestimento, dalla mostra nelle Sale Affrescate del Palazzo Comunale (gratuita e visitabile fino al 28 giugno), curata dal grande fotografo Ferdinando Scianna, dal titolo “Abitanti”. La mostra, che raccoglie quaranta fotografie dei fotografi della storica agenzia Magnum, è l’esempio di quello che la fotografia d’arte è capace di fare, raccontando con i suoi prodotti il mondo che ci circonda. Ed è proprio la casa, le abitazioni, ciò che descrive in maniera appropriata e precisa l’uomo: un viaggio nei mondi dell’abitare, tra bidonville e case di lusso, dall’intimità del mobilio, all’esaltazione modernista e alle convivenze di massa, in un itinerario che mostra visivamente quello che Marc Augè (altro relatore del festival) teorizzò parlando di nonluoghi. Lo stesso Scianna ha dialogato con il professore e critico letterario Marco Belpoliti (che, forse un po’ fuori luogo, ha peccato di superbia e si è preso anche qualche ululato dal pubblico), raccontando quella che è la sua attuale visione di una fotografia che sta pian piano perdendo il senso della sua esistenza, a causa di una democratizzazione dell’utilizzo che ne fa perdere il ruolo di ponte tra le realtà e l’uomo.
Subito dopo l’inaugurazione della mostra, si è tenuta la lectio magistralis di Francesco Remotti, che si è concentrato sul rapporto tra l’abitazione e l’intimità, in un viaggio globale che è andato a toccare le estremità della terra, in un discorso fluido e dal tono abbastanza colloquiale, che ha mostrato, se ce ne fosse bisogno, l’importanza per l’antropologia della ricerca sul campo. Anche quella di Marida Talamona, architetto e docente all’Università di Roma, può essere considerata come una lectio magistralis, interessante resoconto della vita e le opere di Le Courbusier (sul fatto che quella che può essere definita un archistar ante-litteram, ha vissuto in una casa di poco più di dieci metri quadrati), ma poco dialogante con il pubblico. Più frizzante Aldo Cibic, professore, tra le altre, al Politecnico di Milano e allo IUAV di Venezia, innovatore per progetti alternativi ed ecosostenibili con una valorizzazione forte di una nuova coscienza culturale dello spazio pubblico (qui sono visibili alcuni dei progetti da lui portati avanti). Molto bella, e d’impianto chiaramente anglosassone, la lezione di Daniel Miller (professore all’University College di Londra) sugli interni domestici e su come gli oggetti trasformino le case e le abitazioni in cui si vive; lezione che si è dilungata per quasi due ore in un rapporto con il pubblico continuo e stimolante, simbolo di un rapporto tra relatori e pubblico differente tra due mondi, quello italiano e quello inglese, con il primo troppo spesso ridotto a riflussi cattedratici e poco coinvolgenti.
I professori italiani, autori di due degli interventi più belli della rassegna, sono stati Giuseppe Scaraffia e Felice Cimatti. Il primo, romanziere e professore di Letteratura Francese, ha guidato il pubblico in un viaggio tra gli oggetti che affollavano le case degli scrittori moderni francesi (quasi un controcanto più antico rispetto a quello raccontato da Miller), tra cui Balzac, Mountesquiou, Loti e Proust, e ha mostrato come esistesse una vera e propria necessità circa questi oggetti, senza i quali non sarebbe stato possibile scrivere, in un eccentrico collezionismo (spesso anche di cattivo gusto) che strappa il valore estetico delle cose, trasformandole in quella che lo stesso Scarrafia ha definito “arca-rifugio”, al riparo dal tempo e fonte quasi magica di ispirazione. Su tutto un altro versante la lezione del filosofo Felice Cimatti, che ha cercato di mostrare come anche gli animali abbiano un concetto di casa e di vivere insieme (passando dai formicai agli stormi i rondini), tentando di non ridurre tutto allo sguardo umano ma svincolandosi da esso; molto evocativo l’accostamento tra la casa dei ratti e il circolo sanguigno umano, entrambi esempi di un viaggio che accomuna uomo e animale. Cimatti ha tentato di mostrare, ad un pubblico presente ed interessato, le differenze tra le diverse forme di vita animali in rapporto con il concetto che ha l’uomo di casa, andando con estrema precisione, a dare definizioni ragguardevoli. Molto bravo è stato anche Giovanni Bignami, astrofisico di fama mondiale, abilissimo nel coniugare, così come fa anche nei suoi libri, uno spirito profondamente scientifico con una capacità divulgativa veramente eccezionale. Il suo intervento, intitolato “Abitre lo spazio”, si è concentrato sulle possibilità di espansione degli insediamenti umani anche fuori dalla Terra, con simpatici siparietti anche attraverso il dialogo con il pubblico circa l’esistenza di altre forme di vita nell’universo.
Marco Aime, antropologo e docente all’Università di Genova, e collaboratore di Giulia Cogoli nell’organizzazione della manifestazione, è intervenuto il sabato con un incontro dal titolo “Senza sponda. La sfida dell’accoglienza ai nuovi dannati della terra” e ha chiuso la manifestazione domenica con un dialogo con Vinicio Capossela. Il primo incontro è stata una lunga invettiva sul tema, quantomai attuale, dell’immigrazione e dell’accoglienza dei “dannati della terra”, mossa forse da troppo pietismo che talvolta rischia di essere più improduttivo che altro, rendendo sterile un ragionamento in ogni caso approfondito e preciso che ha tirato in gioco politica, Chiesa, Primo Levi e antropologia classica e contemporanea. L’incontro che ha chiuso la rassegna, e che ha contato quasi 1500 persone, segue quella che sta divenendo quasi un’abitudine, ovvero, dopo Guccini e Vecchioni, un dialogo tra l’antropologo e un cantautore che si presta anche al mondo della scrittura. Quest’anno è stata la volta di Capossela, fresco dell’uscita in libreria del suo nuovo romanzo “Il paese dei coppoloni”. L’incontro si è concentrato sul nostos, sul ritorno coniugato in chiave antica e moderna, partendo dal mito di Ulisse e finendo tra le storie familiari e tradizionali della Puglia di Capossela. Un tentativo di inseguire l’itinerario che Capossela ha tracciato con i suoi libri e la sua musica, inseguendo le voci mitiche e riti ancestrali che non ha smesso mai di evocare.
Menzione finale per il bellissimo concerto per due pianoforti di Bruno Canino, maestro anche della musica contemporanea, avendo lavorato con Boulez, Stockhausen e Nono, e di Enrico Pieranunzi, tra i pianisti più apprezzati della scena jazzistica mondiale. Il programma, “Migrazioni sonore”, era caratterizzato dal tema della migrazione intesa sia come spostamento fisico sia come movimento mentale verso altre estetiche, e raccoglieva Gershwin, Pieranunzi, Astor Piazzolla e la meravigliosa Scaramouche di Darius Milhaud, magnificamente eseguita dal duo.
Una rassegna che si chiude in positivo e che, in ogni caso, si pone come punto di riferimento per l’antropologia contemporanea e momento di aggregazione della cittadinanza, con un programma ogni anno sempre più ricco ed eclettico, che cerca di rispondere ai più diversi stimoli.
Un ringraziamento all’ufficio stampa della manifestazion Delos per la disponibilità.